O M E L I A
tenuta in occasione della solenne Concelebrazione Eucaristica
per la Conclusione della Visita Pastorale
Lagonegro, Concattedrale, sabato 7 Dicembre 2024
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Amiche e amici carissimi, illustri e stimate autorità,
mentre la liturgia ci chiede di guardare a Maria di Nazareth per imparare da lei ad attendere nella carne della nostra esistenza la nascita del Bambino Gesù, noi celebriamo la conclusione della Visita Pastorale. Un gesto ecclesiale di particolare importanza che ha coinvolto tutti noi per ben tre anni e ha permesso a me di condividere con voi alcuni momenti abituali delle vostre giornate. Un evento significativo che deve continuare nelle motivazioni profonde, nello stile ecclesiale e nel metodo pastorale per orientare, guidare e determinare la nostra futura azione pastorale.
Durante la Visita Pastorale ho avuto il piacere di incontrare tutti voi, in forma personale o comunitaria. Ho incontrato le comunità parrocchiali, gli Amministratori e i rappresentanti di altre Istituzioni e Associazioni, le famiglie, i ragazzi, i giovani, gli ammalati. Ho dedicato lungo tempo per gli incontri personali e le confessioni.
Quanti dialoghi e intense conversazioni! Quante proposte e fiduciose richieste! Quanti racconti e filiali confidenze! Tanti incontri. Tutti unici e irripetibili. Tutti significativi e importanti per la mia vita e il mio ministero episcopale. Tutti compresi dentro quell’incontro decisivo e sconvolgente che ognuno di noi ha fatto, nella Chiesa, con la persona di Gesù Cristo.
Ho incontrato persone buone di animo, laboriose e ricche di umanità. Anche tra noi, però, ho notato le conseguenze del pervasivo processo di secolarizzazione che investe tutte le dimensioni della vita delle persone e tutti gli ambiti sociali e culturali. Anche nei nostri paesi sono presenti pericolosi fenomeni di turbamento sociale e di disgregazione culturale, sebbene spesso velati da una coltre di colpevole silenzio.
Durante la Visita Pastorale mi sono immerso nel ritmo quotidiano dei 39 paesi della Diocesi, rendendomi personalmente conto delle risorse, delle potenzialità e delle qualità che caratterizzano la loro vita, ma anche dei loro punti critici, delle loro esigenze e dei loro problemi. Ho trovato comunità orgogliosamente fiere della loro storia civile e religiosa, profondamente segnate dai grandi valori della tradizione cristiana, ma anche condizionate da un certo isolamento e dalla mancanza di lavoro o dal lavoro precario e instabile. Comunità, comunque, non disposte a cedere alla tentazione della rassegnazione e a delegare ad altri le sorti del proprio avvenire, credendo nelle proprie possibilità di ripresa e reclamando quelle condizioni indispensabili per progettare e realizzare il proprio sviluppo in modo stabile e duraturo. Comunità che chiedono alla Chiesa e alle altre Istituzioni attenzione, vicinanza, impegno concreto ed efficace per scongiurare il rischio del ridimensionamento o della chiusura di alcune fondamentali strutture di servizio a favore delle popolazioni del nostro Sud della Basilicata.
Stando nei vostri paesi ho continuato a dialogare con gli Amministratori e i rappresentanti delle varie Istituzioni locali. Un dialogo schietto, rispettoso e reale che ho iniziato con loro fin dai primi giorni del mio episcopato, finalizzato unicamente a creare le condizioni culturali e sociali per custodire la dignità e i diritti inalienabili delle persone e delle comunità. Un dialogo che vuole favorire l’unità ideale e la collaborazione fattiva, poiché solo insieme è possibile crescere e favorire il bene di tutti e di ciascuno.
Venendo tra voi ho trovato comunità parrocchiali pastoralmente abbastanza vivaci, ecclesialmente piuttosto formate, spiritualmente alquanto serene, socialmente ben radicate nel territorio. Ci sono realtà esemplari per intensità di vita spirituale e per impegno missionario, così come sono ancora presenti situazioni alquanto stagnanti e problematiche, bisognose di urgente e radicale ripresa. Non tutte le parrocchie sono ancora figura di Chiesa di popolo, vicina alla vita della gente, semplice e umile; figura di Chiesa eucaristica, in cammino e missionaria; figura di Chiesa che cerca, che accoglie, che ama tutti. In molte parrocchie della Diocesi c’è un grave deficit di azione pastorale, di prassi amministrativa e di partecipazione corresponsabile dei fedeli laici alla vita della comunità, con la pesante e preoccupante assenza degli organismi di partecipazione richiesti dalle vigenti disposizioni ecclesiali.
Le nostre parrocchie, pur impegnate in tante iniziative, hanno bisogno di “ripensarsi” pastoralmente e di “rinnovarsi” spiritualmente, per rispondere sempre meglio alla loro alta e delicata missione evangelizzatrice. Occorre una vera “rinascita”, personale e comunitaria.
Rinascere! Ci vuole qualcosa di nuovo. O meglio, ci vuole il contenuto del primo incontro, che riaccade oggi, in un contesto nuovo, in una nuova situazione ecclesiale, sociale e culturale, perché ogni nuovo passo nella vita della Chiesa è un ritorno alla sorgente. Anche tra noi, come ci chiede con insistenza Papa Francesco e come ho avuto modo di ribadire nella lettera pastorale del 2017, occorre un cambiamento radicale, un cambiamento che “non può lasciare le cose come stanno”, sia a livello personale che comunitario. Non basta un cambiamento organizzativo e programmatico, occorre quello spirituale. Un cambiamento interiore, che deve accadere in noi, nel nostro cuore, in tutte le fibre del nostro essere.
Un siffatto cambiamento accade solo se ogni giorno reincontriamo Gesù e stiamo con lui, amandolo e seguendolo fino in fondo, cioè fino all’amore supremo, quello mostrato sulla croce. Ai primi discepoli Gesù ha chiesto innanzitutto di stare con lui (“venite dietro a me”), poi gli ha promesso il buon esito della missione (“vi farò diventare pescatori di uomini” Mc 1,17). Anche per noi deve essere prioritario stare con Gesù, nella preghiera, nell’ascolto e nella meditazione della sua parola, rigustando ogni giorno lo stupore e la gioia del primo incontro (FRANCESCO, EG, 3). Anche a noi Gesù ripete “Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3,3). Per rinnovarsi occorre rinascere dall’alto, occorre ritornare alle sorgenti della vita di fede. Solo una “nuova origine” da Dio può dare inizio a un cambiamento radicale nella nostra vita. Occorre essere “nati da Dio” per “vivere da figli di Dio” e “vincere il mondo”: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo, e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4).
Solo persone cambiate dall’incontro con Cristo possono essere i protagonisti di una nuova stagione ecclesiale e sociale. Solo persone toccate dalla grazia possono “rendere credibile Dio in questo mondo” ed essere gli artefici di un reale rinnovamento ecclesiale, perché nella Chiesa il rinnovamento è sempre opera dello Spirito, è sempre un dono che viene dall’alto (At 2,38; 10,47-48; 19,6) e mai il frutto della programmazione umana.
Ebbene! Papa Francesco ci ha ripetuto più volte che il cammino che Dio vuole dalla Chiesa del terzo millennio è quello della sinodalità, cioè quello di una Chiesa che cammina insieme (Fedeli laici, Pastori, Vescovo di Roma). Ecco il cammino che Dio indica anche a noi: camminare insieme! Nelle famiglie cristiane, nelle parrocchie, nelle aggregazioni ecclesiali, nelle zone pastorali, nella Comunità diocesana. Dobbiamo camminare insieme perché dove due o tre sono riuniti nel suo nome lì c’è lui (cfr: Mt 18,20). Camminare insieme! Tra noi e con le donne e gli uomini del nostro tempo e di questo territorio. Lo vuole Dio ed è anche il desiderio più profondo del cuore di ognuno di noi. Stando con voi, nella condivisione fraterna e nei momenti di dialogo, ho potuto constatare che è forte la domanda di unità, superando ogni forma di isolamento e di autoreferenzialità. Tutti noi desideriamo essere figli grati e fratelli impegnati a far crescere una Chiesa che – quale Madre amabile e premurosa – accoglie, ascolta, accompagna, accarezza, custodisce, protegge, educa.
Dalla mia visita alla Comunità diocesana deve scaturire il nostro convinto impegno a compiere tutti i passi necessari per acquisire definitivamente lo stile sinodale, secondo le indicazioni del Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2 – 27 ottobre 2024): “La sinodalità (…) comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata. (…) Si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo” (n.28).
La Visita Pastorale e il cammino sinodale hanno evidenziato alcune problematiche che chiedono di essere affrontate con particolare cura e che possiamo sintetizzare in tre sfide: spirituale, educativa, culturale. Tre sfide che la nostra Chiesa locale, nel contesto del Magistero Pontificio e degli Orientamenti della CEI, deve assumere e vincere nei prossimi anni.
Innanzitutto, siamo chiamati a rispondere alla domanda di spiritualità che sgorga forte dal cuore dei credenti in modo sempre più pressante ed evidente. Il nostro popolo reclama e ha bisogno di proposte spirituali chiare, essenziali e robuste, nel contesto di una logica esistenziale che preferisce la semplicità alla complicazione, la profondità all’estensione, la qualità alla quantità, la relazione all’organizzazione. Se vogliamo veramente rinnovare l’azione pastorale e la vita delle nostre comunità parrocchiali dobbiamo avere il coraggio e la libertà di proporre il primato di Dio e del suo amore, della preghiera e dell’ascesi personale. “La Chiesa della Pentecoste – leggiamo nell’introduzione all’agenda pastorale 2024 – 2025 – è una Comunità che si mette in ascolto dello Spirito nella preghiera, nella meditazione della Parola di Dio, nella carità fraterna, che trova nella Celebrazione Eucaristica il modello, il compimento e l’alimento della vita sinodale missionaria” (n. 2.1). In quanto “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (SC,10), dobbiamo prestare maggiore e più puntuale attenzione alla liturgia nella sua ricchezza spirituale e in tutta la sua multiforme varietà espressiva (i sacramenti, la pietà popolare, la devozione mariana, i santi patroni, i pii esercizi, etc.). Occorre sintonizzare la nostra azione pastorale con l’anno liturgico e con lo spirito e le celebrazioni del Giubileo ordinario del 2025. In questo contesto spiccatamente cristologico siamo chiamati a dare assoluta centralità dell’Eucaristia domenicale, “sintesi della vita cristiana e condizione per viverla bene” (GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica sulla santificazione della domenica Dies Domini, 81). Dobbiamo riscoprire tutta la ricchezza spirituale, ecclesiale, pastorale, sociale e culturale della domenica, poiché “La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucaristia è il cuore della domenica. Dobbiamo custodire la domenica, e la domenica custodirà noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita” (CEI, Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 8). La domenica, vissuta per quella che è, custodirà anche le nostre famiglie e i nostri paesi. Sarà il vero antidoto alla disgregazione e alla fluidità dell’attuale contesto sociale. Non possiamo vivere senza la domenica. Vale la pena ripeterlo, con la speranza che, prima o poi, ce ne convinciamo tutti.
L’esigenza di una maggiore profondità spirituale ci pone di fronte alla sfida educativa quale assoluta priorità dell’agire ecclesiale, tanto che la nostra diocesi in questi ultimi anni, nei modi più diversi, ha insistito su questo compito così importante e così inscindibile dalla missione della Chiesa. Da sempre. È bene riprendere quanto abbiamo detto e scritto dal 2016 in poi (Lettera pastorale del 2017, agende pastorali, assemblee diocesane, formazione permanente unitaria, esercizi spirituali per fedeli laici, sussidio per educatori e insegnanti, etc.). Tutto nella Chiesa deve tendere a sostenere il cammino spirituale delle persone per introdurle e accompagnarle all’incontro con Cristo, conducendole a una matura esperienza di vita cristiana, alimentata da una fede robusta e profonda. La nostra azione formativa deve essere globale e integrale, deve, cioè, riguardare tutti gli ambiti della vita ecclesiale e tutte le dimensioni della vita.
Alcuni gesti, però, sono indispensabili, se mancano non c’è formazione e la Chiesa tradisce il mandato ricevuto: “l’annuncio della Parola, l’accoglienza del Vangelo che provoca una conversione, la professione di fede, il Battesimo, l’effusione dello Spirito Santo, l’accesso alla Comunione eucaristica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1229). Questo cammino è necessario anche per “rimanere” cristiani e “crescere” da cristiani, per cui la nostra azione educativa deve tendere a far conoscere la Parola di Dio e in particolare la persona e il messaggio di Gesù Cristo nella sua identità umana e divina, a favorire l’appartenenza consapevole e lieta alla Chiesa locale e universale, a partecipare attivamente alla vita sacramentale e in particolare all’Eucaristia, a testimoniare Cristo e il suo amore attraverso comportamenti esemplari e attenti alle necessità dei fratelli.
La Visita Pastorale in alcuni paesi ha evidenziato la necessità di passare dalla parrocchia autoreferenziale e chiusa che elargisce servizi e gestisce un “potere” alla parrocchia aperta al territorio e partecipe delle istanze diocesane, dalla parrocchia determinata dall’abituale routine pastorale (… più di questo non è possibile fare) alla parrocchia che si mette in gioco per avviare un reale processo di cambiamento e di vera conversione.
Tutto questo non accade casualmente, né bisogna darlo per scontato. Occorre desiderarlo, deciderlo e farlo. Insieme, dall’inizio alla fine, dalla progettazione alla realizzazione, attraverso la partecipazione corresponsabile di tutti. Occorre soprattutto una precisa e puntuale opera di evangelizzazione, attraverso un insegnamento organico e sistematico (non occasionale e sporadico) che non lasci fuori nessun contenuto e nessun aspetto dell’insegnamento cristiano, per evitare di somigliare a quell’agricoltore innamorato della propria terra, che zappa, concima, innaffia, ma, non svendo seminato, non ha niente da raccogliere. Non possiamo pretendere di raccogliere frutti pastorali abbondanti, se gestiamo solo l’esistente.
Per questo penso che sia necessaria riascoltare con rinnovata freschezza la perenne novità cristiana e stupirci sempre nuovamente dell’incontro sconvolgente con il Signore, fissando lo sguardo su Gesù e imparando da lui a guardare il mondo dal suo punto di vista, con i suoi occhi (cfr. Gv 6,29). Nel prossimo mese di gennaio con gli Organismi di partecipazione ecclesiale rifletteremo su tutto questo e indicheremo la natura e le modalità di svolgimento delle iniziative formative che intendiamo mettere in atto per tutto il popolo di Dio che è in Tursi – Lagonegro (Missione al Popolo, centri di ascolto, scuola biblica, etc.).
Quello che ho visto e udito durante la visita pastorale lancia a tutti noi una chiara sfida culturale, con l’intento di superare alcuni limiti riguardanti la conoscenza e l’intelligenza della fede. In molte parrocchie domina un certo “devozionismo” che appaga le coscienze ma non cambia il criterio di giudizio sui fatti e sulla realtà, così come è largamente diffuso un marcato “analfabetismo religioso” per cui molti fedeli non sanno distinguere ciò che è conforme alla retta dottrina cristiana da ciò che non lo è. Non meno pericoloso per la crescita spirituale dei cristiani è una perniciosa “deriva intimistica” che porta molti a fare da sé oppure a seguire guide sbagliate (veggenti, “santoni”, etc.). Ben altra cosa, invece, è la pietà popolare: in quanto “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici” (PAOLO VI, EN,48) è una grande risorsa culturale e una felice opportunità pastorale per ribadire i punti fermi ed essenziali della “retta devozione” e della “sana dottrina”, ancorandola nel tessuto ecclesiale e collegandola alla testimonianza della carità.
Ecco perché dobbiamo riprendere con maggiore convinzione e più incidente attuazione quello che San Giovanni Paolo II ha scritto al Pontificio Consiglio della cultura il 20 maggio 1982: «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». È proprio così: se la fede non diventa «modo specifico dell’esistere e dell’essere dell’uomo» resta ai margini della vita delle persone e non incide sulle loro scelte. Dobbiamo metterci al lavoro e ridirci le ragioni della fede, le motivazioni più profonde dei nostri giudizi e dei comportamenti morali, sia personali che sociali.
Nel processo di inculturazione della fede svolge un ruolo fondamentale la dottrina sociale della Chiesa, in quanto sintesi di quei principi di giustizia, di equità e di carità che il Magistero della Chiesa formula alla luce del Vangelo e della morale naturale per guidare gli uomini nella loro vita sociale. L’insegnamento sociale, perciò, fa parte dell’attività pastorale ordinaria della Chiesa, perché “insegnare e diffondere la Dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società e inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Signore (GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Centesimus Annus, 5).
Noi ci occupiamo dei problemi sociali solo in questa luce, poiché abbiamo il dovere di custodire l’intera vita dell’uomo, anche quella terrena, e di stare vicini alle persone in tutte le situazioni e circostanze della vita per condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi” (cfr. GS, 1). Siamo chiamati a servire sempre di più e sempre meglio le persone e la loro vita, nelle concrete situazioni che vivono nei nostri paesi, riaffermando i valori perenni dell’umanesimo evangelico che custodiscono e promuovono i diritti inalienabili e la dignità profonda di ogni persona. È a questo livello che si colloca il nostro dialogo con le Istituzioni e con gli altri soggetti sociali presenti nel territorio diocesano, con l’intento di promuovere il bene di tutti, senza confusione e prevaricazione, con responsabilità e pieno rispetto. Non vogliamo e non dobbiamo essere né assenti né invadenti, ma costruttivamente presenti, per testimoniare i valori della tradizione cristiana e i suoi contenuti. È necessario, quindi, riproporre nei nostri paesi la ricchezza antropologica della cultura cattolica e la forza dirompente della dottrina sociale della Chiesa attraverso tutte quelle iniziative che la creatività delle singole comunità riesce a mettere in atto.
La Vergine Immacolata, Madre della Chiesa e Aiuto dei cristiani, ci assista e ci accompagni in questo compito così entusiasmante e impegnativo.
Il Signore benedica i nostri propositi di bene.
Amen.
Il vostro Vescovo
+ Vincenzo