La fraternità sconfigge fame, guerre e corruzione

Le guerre e le violenze, la corruzione, le organizzazioni criminali, la devastazione delle risorse naturali, lo sfruttamento del lavoro, i traffici illeciti di denaro e la speculazione finanziaria, la prostituzione, il traffico di esseri umani, gli abusi contro i minori, la schiavitù, la tragedia dei migranti: sono tutti crimini contro la fraternità e un ostacolo alla pace. «Fraternità, fondamento e via per la pace» è il titolo del messaggio di Papa Francesco in occasione della 47ma Giornata mondiale della pace che si celebra il 1° gennaio 2014.
 
Nel documento Bergoglio parla dell’«anelito insopprimibile alla fraternità», che alberga nel cuore di ogni uomo e ricorda come la fraternità si cominci ad imparare «solitamente in seno alla famiglia» che dunque «è anche il fondamento e la via primaria della pace». Il Papa osserva però, citando Benedetto XVI, che la globalizzazione «ci rende vicini, ma non ci rende fratelli», e che «nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali». Il racconto biblico di Caino e Abele insegna infatti che «l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento». Francesco spiega che «la radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio» e che la fraternità umana è «rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione».
 
Nel messaggio, sulla scia delle encicliche «Populorum progressio» di Paolo VI e «Sollicitudo rei socialis» di Papa Wojtyla, si ricorda la fraternità fra le nazioni e il dovere di coloro che sono più favorite: «il dovere di solidarietà, che esige che le nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri».
 
La pace «o è bene di tutti o non lo è di nessuno» e può essere realmente conquistata solo se si attiva da parte di tutti «una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune». Ciò implica di non farsi guidare dalla «brama del profitto» e dalla «sete del potere». Occorre avere la disponibilità a «“perdersi” a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto».
 
Nel messaggio Francesco cita anche la «povertà di relazioni» dovuta alla «carenza di solide relazioni familiari e comunitarie», e ricorda che se la «povertà assoluta diminuisce», cresce invece «la povertà relativa, cioè disuguaglianze tra persone o gruppi che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale». Il Papa parla anche della «necessità di politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito».
 
«Un modo di promuovere la fraternità – e così sconfiggere la povertà – che dev’essere alla base di tutti gli altri», spiega, «è il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri».
 
La fraternità è da riscoprire anche nell’economia, «dove allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, e ricerca avida di beni materiali, e depauperamento relazioni interpersonali e comunitarie hanno spinto a cercare felicità e sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia». Le crisi economiche devono portare «al recupero delle virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza».
 
Nel paragrafo dedicato alle guerre, Francesco ricorda come «nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità. Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa».
 
E la Chiesa «alza la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi». Bergoglio rinnova anche l’appello «in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico», perché «finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità». In ogni caso, osserva ancora Francesco, gli accordi internazionali «non sono sufficienti», serve una «conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura».
 
«Mi auguro – aggiunge – che l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti».
 
Francesco parla quindi dell’egoismo che si sviluppa socialmente «sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose».
 
«Penso al dramma lacerante della droga – afferma ancora il Papa – sulla quale si lucra in spregio a leggi morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in atto; alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete vittime innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il futuro; penso all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e agli abusi contro i minori, alla schiavitù che ancora diffonde il suo orrore in tante parti del mondo, alla tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità».
 
Il Papa però ci tiene a ricordare che l’uomo «si può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti, anche per coloro che hanno commesso crimini efferati, poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva».
 
Un pensiero è dedicato ai carcerati e alla loro condizione. «Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto. La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili».
 
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